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L’illuminazione biologica

Non ho trovato aggettivazione alternativa per rendere il distinguo accattivante. Un distinguo tra quella che potrei definire “illuminazione classica” a rischio gloom soprattutto in ambienti destinati alla collettività e quella invocata fin dagli anni ’60 dagli studi della psicofisica.

Nel momento in cui scrivo, prendo orgogliosamente e anche un po’ mestamente atto, che mi sto occupando di interior design da ben 50 anni! Ho quindi vissuto, sia da utente che da progettista, il lungo periodo del “neon”. Impropria definizione delle sorgenti a fluorescenza.

Fu probabilmente questo tipo di illuminazione, già diffuso più di 40 anni prima dell’avvento delle neuroscienze e delle ricerche della psicofisica, a definire il concetto di gloom. Una specie di paradosso, parlando di illuminazione, in quanto gloom può significare malinconia, penombra e addirittura oscurità. Nonostante questo sistema di illuminazione, specie negli uffici, locali pubblici e ospedali avessero una buona resa luminosa e garantissero lux più che sufficienti, la sensazione era quella di trovarsi in una situazione di scarsa illuminazione, in un ambiente triste dove sì c’era luce, ma non ci si vedeva bene; la vista non era a proprio agio. Questo succedeva, e succede ancora con le plafoniere LED) a causa della tendenza di garantire un tot uguale di lux in ogni punto di un ambiente, quindi anche sugli eventuali piani di lavoro o apparecchiature-macchinari presenti. Ma succedeva soprattutto con la fluorescenza perché lo spettro di emissione aveva due grossi “buchi” per cui la luce appariva bianca, ma senza tutte le frequenze della luce solare, quella di riferimento, quella per noi fonte di vita, per l’appunto “biologica”.

L’avvento delle sorgenti alogene, ha poi colmato per anni questo deficit, ma per lo più in ambienti dove il lato estetico era più sentito. Il costo degli apparecchi era notevole, ma soprattutto con un alto costo di esercizio e manutenzione; in più sviluppavano un calore notevole, rendendo il loro uso poco ecologico e pericoloso. La temperatura colore era accattivante, ma sempre un po’ giallognola, dunque adatta per certi ambienti, ma non per altri.

Il LED ha risolto il problema offrendo sorgenti capaci di diffondere la luce in diverse modalità e a diverse temperature di colore (gradi Kelvin), garantendo uno spettro corretto dai circa 3.000 ai 6.000 gradi Kelvin.

QUINDI IL PORBLEMA DEL GLOOM È STATO RISOLTO?

No.

Ostinandosi a volere un’illuminazione uniformemente diffusa, il gloom rischia di essere sempre presente, soprattutto se detta illuminazione la si voglia tenere a basso regime di luminosità.

Allora è il momento di fare alcune considerazioni riferendosi alla natura.

Si può dire che l’effetto gloom in natura si abbia in quella finestra temporale, detto crepuscolo, che inizia non appena dopo il tramonto del Sole e che dura fino a quando il cielo appare quasi notturno. In quella finestra la nostra visione da fotopica, diventa mesopica e poi scotopica. Ci siamo abituati, ma durante quel tempo, soprattutto se trascorso all’esterno, i coni retinici, lentamente, perdono la loro dominanza, cedendo il compito ai bastoncelli, che sono più sensibili ai pochi fotoni in arrivo in retina. Senza rendercene conto (sempre perché abituati) perdiamo in acuità visiva e in discriminazione cromatica. I bastoncelli possono solo darci una visione in bianco e nero e i portatori di occhiali da vista avranno notato di “vederci meglio” togliendoli. Si vede meglio in visione periferica che foveale, infatti in fovea sono presenti solo coni, dunque il sistema visivo subisce un auto-adattamento alla situazione, grazie all’integrazione retinica, ovvero usando di più i bastoncelli, diffusi più perifericamente rispetto alla fovea dove abbiamo la maggiore acuità visiva.

Ma torniamo agli interni e all’illuminazione artificiale. Il desiderata è avere luce uniformemente diffusa? Ok, ma in natura sarebbe come trovarsi all’aperto (senza alberi o ostacoli che facessero ombre). Chi sarebbe a proprio agio a fare un lavoro d’ufficio in queste condizioni di forte illuminazione? Negli interni le plafoniere non riusciranno mai a dare lux quanti il Sole all’esterno (anche se è nuvolo), per cui il risultato rimanda alla situazione crepuscolare. E siamo di nuovo al rischio di gloom.

QUINDI CHE FARE?

Gli studi di psicofisica hanno concluso che il nostro sistema visuo-percettivo si è sviluppato e specializzato quando i nostri avi vivevano nelle foreste. La nostra capacità di “vedere” oltre gli ostacoli (tronchi degli alberi, cespugli…), di orientarci cogliendo le diversità, di discriminare anche le più lievi sfumature intorno a verde, giallo e arancione, si è evoluta nei boschi, che offrivano cibo, protezione e materiali da costruzione. Nonostante intere generazioni siano nate, vissute e morte nelle metropoli, siamo ancora predisposti biologicamente per vivere nella foresta. Da considerare che della foresta fanno parte anche le radure, il limitare del bosco. In un bosco trovereste sempre la luce giusta. 

Avrete notato, magari andando per funghi, che riuscite a passare con lo sguardo da una porzione di terreno fortemente illuminato dal Sole a una zona in ombra, senza subire i fastidi dell’abbagliamento. L’occhio umano ha una latitudine di posa ancora irraggiungibile da qualsiasi fotocamera digitale tecnologicamente avanzata. Regolata su un punto illuminato, renderà sottoesposte le parti in penombra. Regolata sulle parti in penombra subirà sovraesposizione nelle parti più fortemente illuminate.

Un buon illuminotecnico saprà certamente distribuire bene l’illuminazione in un ambiente a seconda delle attività lì previste e saprà anche creare effetti particolari e affascinanti, ma, secondo me, dovrà sempre considerare che quell’illuminazione sarà comunque innaturale. Ci renderà possibile svolgere qualsiasi mansione, fare qualsiasi lavoro anche di notte, ma sarà sempre qualcosa di artificiale. I produttori delle sorgenti hanno fatto passi da gigante per offrirci luce artificiale che fosse più possibile coerente con quella di riferimento (quella del Sole), mettendo a punto anche sistemi in grado di variare intensità e temperatura colore riferendosi al ciclo solare della giornata. Hanno saputo trasformare una grossa plafoniera in un lucernario virtuale, ma assolutamente credibile. Ma sempre di un lucernario si tratta. Un ritrovato che porta la luce esterna in un interno.

Il mio concetto di illuminazione biologica vuole invece trasformare un interno in un esterno. Portare in un interno, la luce come la si avrebbe in un bosco. Per questo l’ho chiamata “illuminazione biologica”, in quanto, secondo me, la più consona alla nostra caratteristica di esseri viventi e al nostro sistema visuo-percettivo..

Inutile dire quanto possa essere determinante un’illuminazione biologica in un ospedale…a proposito di umanizzazione ambientale.

Giulio Bertagna

NOTA: questo quaderno, come tutti gli altri è protetto da copyright. Se condividete certi concetti, introiettateli e fateli vostri (li scrivo apposta), ma se li divulgate, per cortesia, citate l’autore. Grazie